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I doppiatori italiani

Capitolo 6: Ricostruzione e scissione

Con il referendum del 2 Giugno 1946 il 54% degli italiani si pronunciò a favore della repubblica.
Il 21 Luglio 1948 Giulio Andreotti inaugurò i ricostruiti stabilimenti di Cinecittà.
Col 29 Luglio dell’anno seguente fu varata la legge 448 (detta piccola) che introdusse la tassa sul doppiaggio per i film stranieri, al fine di creare un fondo di finanziamenti a favore di quelli italiani.
Il 29 Dicembre la legge 958 (detta grande o legge Andreotti) concedeva un abbuono del 20% sui diritti erariali ad esercenti che programmavano pellicole italiane.
L’effetto fu immediato. Dai circa cinquanta film prodotti nel 1948 si passò ad oltre cento pellicole nel 1950, mentre sul territorio nazionale centinaia di sale cinematografiche aprivano i battenti, raggiungendo in questo periodo le settemila unità per poi arrivare a ben diecimila, escludendo le circa cinquemila parrocchiali.
I quattrocentomila spettatori del 1946 sarebbero raddoppiati in pochi decenni.
Le due principali organizzazioni di doppiaggio operanti a Roma non risentirono affatto delle nuove disposizioni di legge, visto che era consuetudine doppiare anche i film italiani.
Con gli attori della CDC Roberto Rossellini realizzò il doppiaggio di “paisà” con la voce narrante di Panicali, che doppiò anche (Massimo, il partigiano).
Nel 1948 nel film “Mio figlio professore” di Renato Castellani le tre sorelle Nava parlavano con la voce di Adriana Parrella, la stessa usata per doppiare il figlio ragazzino di Fabrizi.
L’anno precedente per “Germania anno zero” anche Rossellini aveva scelto la voce della ragazzina Flaminia Jandolo per doppiare il giovane (Edmund Moeschke).
Altrettanto fece Federico Fellini nel 1953, ricorrendo sempre alla Jandolo per dare voce a (Guido Tartufi), il piccolo ferroviere de “I vitelloni”.
L’efficiente macchina del doppiaggio non conosceva sosta e girava a pieno ritmo. I suoi interpreti non si concedevano pause se non per andare a recitare in teatro o sui set cinematografici.
Era facile incontrare gli attori doppiatori delle due organizzazioni per i viali di Cinecittà, riappropriatasi ormai delle sue funzioni.
Nella città del cinema spesso si ritrovavano a lavorare per gli stessi film attori che come doppiatori appartenevano a società diverse.
Alcune produzioni cercavano di riprodurre in cinema di carta pesta, il quale non seguiva la linea del neorealismo, ma che doveva diventare un biglietto da visita dei rinnovati stabilimenti.
Il film “Fabiola” aveva il chiaro intento di riportare Cinecittà ai giorni di un tempo, di riproporla come capitale del cinema europeo, attirando le produzioni straniere.
L’interesse delle case statunitensi e europee fu immediato, che vedevano nelle produzioni di kolossal una via di realizzazione altrimenti difficoltosa.
Nel 1949 la M.G.M. decise di adoperarsi per “Quo Vadis” con la regia di Mervyn Leroy. L’investimento era il più ingente nella storia delle produzioni cinematografiche, ma insufficiente perché le riprese fossero fatte negli Stati Uniti. Per tanto vennero scelti gli stabilimenti sulla via Tuscolana per realizzare la pellicola che sarebbe dovuta diventare un kolossal per eccellenza nella storia del cinema.
Gli spazi intorno ad essi erano enormi, quanto occorreva alle legioni romane per muoversi con relativa facilità.
Cinecittà divenne il centro del mondo cinematografico e se ne parlava come della Hollywood sul Tevere.
Migliaia di romani accorsero per vestire i panni di legionari e cristiani, mentre le maestranze italiane ebbero modo di lavorare con i tecnici americani.
In futuro l’esperienza acquisita avrebbe permesso loro di realizzare i kolossal made in italy.
Nel 1952 il film montato tornò a Roma per essere doppiato. Per la prima volta si fece appello ad attori di due diverse società, la ODI e la ARS, la quale si era appena formata.
Ai doppiatori della ODI vennero affidati attori che interpretavano i Romani e a quelli della ARS i cristiani.
A Robert Taylor nella parte di (Marco Vinicio) fu prestata la voce di Carlo D’angelo, a Leo Jeen (Petronio) quella di Roldano Lupi, mentre allo straordinario Peter Ustinov nella parte di (Nerone) la voce di Arnoldo Foà.
Nonostante il rincuorante panorama artistico, nel 1952 ebbe luogo la prima scissione di rilievo in seno alla più importante società di doppiaggio presente in Italia, la CDC, della quale Augusto Incrocci era presidente sin dalla sua fondazione nel 1944.

La sua politica si basava sull’applicazione rigorosa delle idee che avevano ispirato l’atto costitutivo e le norme del regolamento interno alla cooperativa, norme distribuite ai soci con un opuscolo consegnato nel 1945 a tutti gli aderenti unicamente all’atto costitutivo.
Nel regolamento si stabiliva che si era ammessi in cooperativa dopo il parere favorevole del consiglio di amministrazione e il pagamento della quota sociale di duecentocinquanta Lire.
Nessuno poteva prestare la propria opera in altre organizzazioni di doppiaggio, se non con l’espressa autorizzazione dei vertici del consiglio. Chiunque trasgredisse a tale obbligo, oltre alla sanzione prevista dallo statuto, sarebbe stato punito con l’espulsione e il pagamento di una penale.
Ciò mise tutti i soci nella dura necessità di rifiutarsi di lavorare per l’avvenire con esso inadempiente.
Il regolamento determinava quattro categorie con diverse retribuzioni ciascuna, dalle mille Lire per la A alle trecento Lire per la D, con quattro ore di lavoro per turno.
Queste categorie furono quelle che avrebbero determinato i malumori maggiori tra i soci nel lontano futuro.
Il lavoro doveva essere equamente distribuito per garantire ad ognuno il minimo necessario per condurre una vita dignitosa e bisognava avere un atteggiamento di apertura verso le legittime aspirazioni dei doppiatori ad associarsi stabilmente e con durevolezza ad un famoso divo o caratterista di Hollywood. Si doveva inoltre cercare di rendere più facile il passaggio ad una categoria superiore e permettere di ambire al rango di direttore anche secondo il grado di anzianità maturato, oltre alle attitudini e capacità del singolo.
Incrocci riuscì a portare avanti questa politica fino al 1949, quando il numero di film da doppiare era talmente elevato che tutti i soci potevano tranquillamente soddisfare il desiderio di guadagno e gratificazione personale.
A fine anni Quaranta il doppiaggio per i film dell’embargo era concluso e per Incrocci diventava sempre più difficile gestire i rapporti di forza tra i doppiatori e i direttori. Tutti tendevano a chiudersi per custodire le posizioni raggiunte. Coloro che doppiavano attori importanti cercavano di non perderli, mentre le voci che non avevano mai avuto modo di occuparsi degli interpreti principali o dei comprimari aspiravano a farlo.
I direttori, così sicuri di sé per il loro ruolo di riferimento delle case statunitensi, erano irremovibili e ostacolavano qualunque intromissione nella propria categoria. Inoltre alcuni di essi tendevano a distribuire le parti senza considerare il legame che si istaurava fra una voce e un volto.
Intanto le nuove generazioni spingevano per sostituire le vecchie, mentre gli anziani si sentivano sempre più emarginati con una via sbarrata per la funzione di direttore.
Per la maggior parte dei soci CDC il mestiere di prestare la voce costituiva l’attività principale, di conseguenza era fondamentale preservare le posizioni raggiunte se proprio non si riusciva a passare di categoria, specialmente nella tanto agoniata A.
In un clima come questo le situazioni personali e professionali di molti doppiatori non avevano grande visibilità, ne trovavano risposte adeguate le loro leggittime aspirazioni a maggiore gratificazione economica e morale. Tali attori, che avevano contribuito a rendere il doppiaggio italiano il migliore al mondo, sentivano che l’ambiente non era favorevole per rivendicare ciò che ritenevano dovuto a coronamento della loro carriera artistica.
Nel 1951 il malumore i CDC diventò sempre più manifesto. Augusto Incrocci, che aveva una grande esperienza in ambienti teatrali,, tentò di mediare le posizioni tra i più irrequieti e alcuni membri del consiglio di amministrazione che volevano una politica intransigente rispetto alle nuove richieste.
Per il momento la protesta tardò i suoi effetti.
Si cercò di correre ai ripari facendo delle concessioni agli attori che più di altri si erano resi disponibili a lavorare nel doppiaggio pregiudicando anche le attività di cinema e teatro.
La non equa distribuzione delle parti e la sottrazione dei ruoli primari alle voci che da sempre li interpretavano, come traspariva dalle scelte di Neroni, portarono in fine molti doppiatori ad abbandonare la cooperativa.
L’insoddisfazione si fece sentire anche nelle sale della ODI del conte Giannuzzi, sola società in grado di contrapporsi alla CDC.
Nelle rappresentazioni teatrali in comune a Roma gli attori delle due organizzazioni parlavano inevitabilmente di doppiaggio, scambiandosi notizie e punti di vista. Decisero di approfondire la cosa per predisporre delle contromisure al fine di arginare lo strapotere dei vertici.
Gli incontri avvenivano nei caffè vicino agli studi di doppiaggio non frequentati abitualmente da doppiatori.
Con una riunione turbolenta presso la Fono Roma si paventò le dimissioni in blocco per mandare un segnale deciso ai vertici.
Ciò portò all’uscita di molti dalla ODI, mentre la CDC indisse una riunione con la quale metteva sotto accusa il presidente Incrocci, cercando un chiarimento con chi voleva lasciare la società.
Come risultato abbandonarono l’organizzazione gli attori: Geri Pisu, Silvani Cristina, Verna, Lia Orlandini, Adriana De Roberto, Edi Maltagliati eZoe Incrocci, la quale si mostrò solidale col padre, imissionario dopo l’assemblea. Bellini e Turi li avrebbero poi seguiti.
Allo stesso tempo Renato Cominetti e un considerevole numero di attori lasciarono la ODI.
Fu così che nel Marzo del 1952 nacque la nuova ARS (Attori Riuniti Sincronizzatori).
Il nuovo presidente della CDC Alessandro Salvini inviò agli stabilimenti di doppiaggio di Roma un severo monito, col quale intimava di non far incontrare i suoi attori con quelli della neonata società.
In Aprile entrarono alla ARS: Persa, Turi e Gianfranco Bellini.
Ciò costituì per la CDC un colpo basso.

(brano realizzato in collaborazione con il Prof. Gerardo Di Cola)

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