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I doppiatori italiani

Capitolo 7: Il tempo della tv

Nel 1954 nacque la televisione italiana. La mattina di domenica 3 Gennaio l’annunciatrice Fulvia Colombo apparve per la prima volta in video per presentare i programmi del giorno per i novantamila abbonati Rai.
Lo show che battezzò la neonata TV fu “arrivi e partenze” condotto da Mike Buongiorno.
Tutto cambiò nelle abitudini dei quarantottomilioni di italiani.
Anche il cinema era alla ribalta e in quell’anno raggiunse gli ottocentomilioni di biglietti venduti, per raggiungere nel 1955 il record storico di ben ottocentodiciannovemilioni.
Gli spettatori andavano al cinema con una frequenza di diciassette volte l’anno, picco che non sarebbe stato più raggiunto.
L’industria cinematografica italiana arrivò a produrre circa duecento film, nonostante i trecento di importazione.
Sul territorio nazionale erano distribuite diecimilaecinquecento sale, con una programmazione di non meno di cinquecento pellicole l’anno.
Negli anni Cinquanta, oltre alle più note CDC e ODI, era nata la casa di doppiaggio CID. Quest’ultima decise di consorziarsi con la ARS onde evitare un dannosa concorrenza reciproca. In tal modo speravano anche di potersi ritagliare una maggiore fetta di doppiaggio rispetto alle altre, soprattutto la CDC, che continuava a detenere il primato dei film stranieri, arrivando perfino al 90% di quelli americani.
L’atto associativo determinava la possibilità per un doppiatore di passare da una società all’altra a seconda della necessità del momento, soprattutto i più importanti e gettonati.
Ciò rese difficile ricostruire il loro percorso artistico negli anni.
La concorrenza accresciuta dalla ARS portò la ODI a navigare le acque non sempre quiete del ridoppiaggio, che spesso risultava qualitativamente inferiore al precedente.
I produttori cinematografici intuirono da subito che la capacità della TV di offrire a milioni di utenti un posto virtuale in prima fila avrebbe inevitabilmente allontanato gli italiani dal cinema, come era avvenuto in altri paesi, dove la televisione era un’esperienza già di almeno quindici anni.
Essi sapevano che per arginare il fenomeno occorreva rinnovare il cinema nei suoi messaggi e nei suoi attori.
I tempi erano cambiati e anche il neorealismo aveva esaurito la sua influenza, benché il segno lasciato rimanesse evidente.
Le storie dovevano rispecchiare un’Italia nuova e piena di voglia di cambiare e soprattutto di divertirsi.
Nel 1956 le pellicole prodotte furono poco più di cento e i biglietti venduti scesero a settecentonovantamilioni per una frequenza di sedici film l’anno visti da ogni italiano e che nel giro di vent’anni sarebbe arrivata al di sotto dei dieci.
Come indicato dall’allora ministro dello spettacolo Oscar Luigi Scalfaro il film doveva dare un senso di riposo alla fine della giornata, interessando e divertendo con semplicità, senza il coinvolgimento di complicati stati d’animo.
A tal scopo era necessario mettere in scena nuovi attori che rispecchiassero le aspettative giovanili del tempo.
Nacquero così i modelli da seguire come Sophia Loren e la cinematografia spaziò dai film Western al genere mitologico.
Dopo il neorealismo di “Ladri di biciclette” e il soffice neorealismo rosa pieno di speranza di “Pane, amore e fantasia” si arrivò nel 1956 alla commedia all’italiana con “Poveri ma belli”, che recuperava in qualche modo l’esperienza prebellica dei telefoni Bianchi.
La post-sincronizzazione di quest’ultimo film, campione di incassi, venne affidata alla CDC, che con le sue belle voci giovani colorì con leggere inflessioni romanesche. Fra i doppiatori: Persa, Capecchi, Rinaldi e Amendola.

Nella seconda metà degli anni Cinquanta gli italiani iniziavano le loro vacanze fuori porta e il cinema mostrò grande attenzione alla realtà che andava plasmandosi, dando vita al nuovo genere sentimentale turistico, al fine di contrastare la televisione che tanto riusciva a entrare nella vita degli spettatori.
Da Roma e dintorni le trup cinematografiche si trasverirono nelle località alla moda, tornando alla capitale solo per girare gli interni e doppiare l’edizione conclusiva del film.
Un esempio del nuovo genere è “Vacanze a Ischia” che vedeva fra i protagonisti un altro attore dell’ultima generazione Antonio Cipariello, pur avendo studiato al centro sperimentale venne doppiato, come anche in altre occasioni.
Per il film la CDC gli affidò la voce di Pino Locchi, mentre in “Le ragazze di San Fridiano” la ODI scelse la voce di Luciano Melani.
Per Cifariello la CID si affidò a Manfredi per “La bella di Roma” e a Salerno per “Amore in città” nell’episodio di Fellini.
La CDC lo fece doppiare da Rinaldi in “L’amore nasce a Roma”, “Noi siamo le colonne” e “Souvenir d’Italy”.
Le trasposizioni cinematografiche di opere liriche, specialmente le biografie di compositori e cantanti, furono una costante nella produzione filmica italiana, come “Follie per l’opera” dove Gina Lollobrigida venne doppiata da Rosetta Calavetta e Aroldo Tieri da Sinibaldi.
A metà degli anni Cinquanta trovò il favore del grande pubblico il film musicale interamente costruito su una o più canzoni di successo.
Nel genere si ritrovarono attori anche coloro che non avevano voce o fisico per farlo, i quali vennero per tanto soccorsi dai doppiatori, i quali con la loro grande professionalità sostenevano il cinema.
Dagli Stati Uniti arrivarono cult movie come “I dieci comandamenti”, “Quando la città dorme”, “L’uomo che sapeva troppo”, “La finestra sul cortile”, “Sentieri selvaggi” e “Modidic”.
Il cinema italiano non fronteggiava solo l’invasione dei film statunitensi, ma anche le produzioni provenienti dall’Inghilterra “Riccardo terzo”, dalla Francia “Cervais piace a troppi”, dalla Russia “La congiura dei Boiardi”, dalla Svezia “Il settimo sigillo” e dal Giappone “Gozzilla”.
La ODI, che presto avrebbe fatto a meno del suo fondatore conte Giannuzzi, disperdeva sempre più i propri doppiatori tra le altre società, mentre per diversi suoi attori si stavano aprendo le porte della TV, che fin da principio dimostrò grande interesse per la rivisitazione in chiave divulgativa delle opere classiche di ogni tempo.
Alcuni tra i suoi maggiori direttori di doppiaggio fecero parte dei primi registi che lavorarono col nuovo mezzo che doveva portare nelle case degli italiani anche la cultura.
Anton Giulio Maiano fu uno degli esponenti più rappresentativi di questa categoria di registi, i quali esprimevano nella direzione in sala di doppiaggio e nelle recite televisive una creatività didascalica al servizio del grande pubblico.
Per lui era normale servirsidegli attori di doppiaggio coi quali aveva spesso lavorato a cavallo degli anni Cinquanta per la formazione del cast del teleromanzo a puntate “Piccole donne”, primo di una lunga serie. Tra gli interpreti dello sceneggiato che col suo immediato successo avrebbe spianato la strada al nuovo genere di spettacolo ci furono: Arnoldo Foà, Alberto Lupo, Renato Decarmine, Vittorio Manipoli, Anna Maestri, Rina Fianchetti, Gustavo Conforti. Tutti attori che lavorarono con Maiano per i doppiaggi della ODI.
Per lo sceneggiato in sei puntate “l’alfiere” il regista scelse: Aroldo Tieri, Carlo Giuffré, Achille Millo,, Ivo Garrani, Ubaldo Lay, Giuseppe Porelli, Antonio Pierfederici, Carlo Croccolo, Errico Glori, Rina Fianchetti, Antonio Battistella, Anna Maestri, Nino Marchesini. Tutti soci o ex della ODI e della ARS-CID.
I set televisivi, come quelli cinematografici, si trasferirono all’aperto, nelle campagne laziali dove la dimensione naturalistica rimandava alle ambientazioni dei romanzi su cui basare lo sceneggiato.
Fra la ARS e la CID le cose non andavano come previsto. Dopo le prime collaborazioni i rapporti tra le due organizzazioni si erano fatti tesi. La ARS lamentava cattiva ripartizione dei lavori tra gli attori delle due società.
Nel 1957, con il doppiaggio dei due film “Le ali delle aquile” e “Il pianeta proibito”, fecero scattare la scintilla. In risposta la CID propose di fondersi in una’unica cooperativa, ma le due assemblee non ritennero la cosa accettabile, poiché la nuova società avrebbe sofferto di gigantismo per i troppi iscritti e per gli stessi non ci sarebbe comunque stata alcuna maggiore garanzia di lavoro rispetto ai soliti pochi colleghi che dominavano la scena in sala.
Nei mesi successivi alcuni attori cominciarono a reclutare quante più voci possibili per fondare una nuova organizzazione di doppiaggio, arrivando idealmente a circa trenta membri fra direttori, assistenti, attori e adattatori ai dialoghi.
Nel 1958 Stefano Sinibaldi, Fede Arnaud, Adriana Deroberto, Gabriella Genta, Guido Leoni e Alberto liberati fondarono la SAS (Società Attori Sincronizzatori).
Alla nuova cooperativa aderirono oltre cento artisti.
Il tempo dei centocinquanta iscritti e pochi protagonisti era ormai tramontato una volta per tutte.

(brano realizzato in collaborazione con il Prof. Gerardo Di Cola)

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