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I doppiatori italiani

Capitolo 9: La contestazione

La rinnovata CDC, determinata nel monopolio del mercato, ottenne dalla sua evoluzione i risultati sperati. Il lavoro in studio aumentò per tutti. Si incrementò particolarmente per i giovani, i quali si trovarono a doppiare proprio nel periodo della contestazione.
A metà degli anni Sessanta la nuova generazione di attori dediti interamente al doppiaggio era compresa fra i ventisei e i quarant’anni di età.
In occidente la generazione che diventò maggiorenne negli anni Sessanta era il frutto del boom demografico registrato dalla fine della guerra.
La crescita economica permise a tali giovani di soddisfare per la prima volta in maniera generalizzata anche i bisogni superflui.
I nuovi modelli come Brigitte Bardot e i Beatles trasmettevano loro il gusto per la trasgressione con ragazzi dai capelli lunghi e ragazze dalle gonne corte.
I giovani non persero tempo ad emularli e nacque in loro il desiderio di viaggiare, conoscere, confrontarsi e amare.
Nella scala dei bisogni si aggiungeva la necessità di pensare in modo autonomo dagli adulti e i poteri costituiti e i giovani iniziarono a pretendere un maggiore ruolo nella società.
I doppiatori coetanei erano mossi da pari sentimenti e chiedevano nuovi codici recitativi e comportamentali, pretendendo di prendere parte alle decisioni che li riguardavano.
Voci storiche come Emilio Cigoli mal sopportavano il nuovo clima che andava delineandosi, diffidando della messa in discussione di regole che dai loro esordi avevano reso il doppiaggio italiano il migliore al mondo.
Nel 1966 si assistette ad una nuova crisi in seno alla politica del nostro paese. Era la seconda volta in due anni che un governo di centrosinistra si dimetteva per il fallito appianamento dei contrasti fra democristiani e socialisti.
L’opinione pubblica venne a conoscenza di un tentativo di colpo di stato del 1964 dei servizi segreti, con la copertura di alte personalità politiche.
Gli scioperi spontanei in vari settori riflettevano l’immagine di un clima sociale in fase di surriscaldamento.
Nel 1966i doppiatori della CDC indissero uno sciopero col fine di mandare un messaggio di malcontento ai vertici.
Cigoli, incredulo e provato dall’assurda protesta, si dimostrò indifferente alle motivazioni dei più.
Le richieste volevano che fosse aumentato il numero di attori nelle categorie E ed A, che si rendessero più rapidi i passaggi di categoria e che venissero nominati più direttori.
Alla fine di un’assemblea accesa Cigoli si ritrovò fuori dalla società.
Poco dopo, incapace di rimanere lontano dalle sale di sincronizzazione, entrò alla SAS come doppiatore e direttore.
In CDC, per incontrare la sete di cambiamento dei più giovani, il consiglio direttivo decise di aumentare il numero di attori nelle categorie più ambite.
Nel 1968 arrivò il cult movie “Il laureato” con Dustin Hoffman, il quale denunciava ipocrisia e falsi valori, avviando un processo di rivisitazione globale e il rapporto dei giovani con genitori e istituzione.
Lo stesso anno il tutto si concretizzò nella storica ribellione aperta e generalizzata dei giovani contro il potere costituito di una società ingiusta e corrotta, raggiungendo le università e accendendo gli animi dei lavoratori delle industrie.
Per “Il laureato” Mario Maldesi affidò il ruolo di Dustin Hoffman alla nuova voce di Luigi La Monica.
Dal 1969 l’attore americano fu affidato al doppiatore Ferruccio Amendola, che lo avrebbe seguito in quasi tutta la sua carriera cinematografica.
Hoffman per il cinema statunitense e Amendola per il doppiaggio italiano, superarono entrambi la barriera dei codici recitativi del tempo, segnando un nuovo modo di interpretare i personaggi, distaccandosi dalla lingua ortodossa e cogliendo quelle sfumature di recitazione che iniziarono a cambiare il cinema.
Le case produttrici tuttavia tennero conto del binomio voce = volto che si presentava di volta in volta, temendo e per tanto ostacolando il potere contrattuale del doppiatore.
Passando per Roma, da Parigi a Praga, studenti e operai si scontrarono con la polizia nelle strade. La manifestazione stava raggiungendo l’apice in tutto l’occidente.
La protesta contro la guerra in Vietnam si diffuse, rafforzando la volontà delle nuove generazioni di giovani di vivere attivamente gli avvenimenti sotto la spinta di una diversa visione della realtà.

Nel Marzo dello stesso 68 diversi attori di cinema si separarono dall’associazione a cui appartenevano, andando a fondare L’Associazione Cinematografica Italiana. Tra gli aderenti: Federico Fellini, Mario Monicelli, Luchino Visconti, Alberto sordi.
Tempo dopo nel convegno di Amalfi sul film sonoro un gruppo di registi sottoscrisse il manifesto di Amalfi. Essi denunciavano un abuso sistematico del doppiaggio che a loro avviso comprometteva regolarmente i valori espressivi del film. Ritenevano che la post-sincronizzazione del film, quando non richiesta da valori espressivi, costituisse qualcosa di assurdo e inaccettabile che negava la possibilità ad un cinema italiano sonoro.
Alberto Lattuada si chiedeva se il vivismo non fosse la vera base.
Marco Bellocchio auspicava perfino il totale abbandono del doppiaggio e l’adozione dei sottotitoli da lungo tempo periti.
Fra i condivisori di tale posizione estremista vi furono anche: Sergio Leone, Michelangelo Antonioni (da sempre acerrimo nemico del doppiaggio), Pierpaolo Pasolini e Bernardo Bertolucci, la cui ostilità aumentò nel tempo e che tuttavia si vide influenzato nella carriera artistica da sempre più attori stranieri da doppiare.
A dispetto di tanta ostinazione e scontrosità nel 1970 fu varata una legge con la quale si decretava che i nomi dei doppiatori venissero riportati nei titoli di coda dei film. Ciò rappresentò una grande conquista per la categoria.
E’ bene ricordare agli oppositori del doppiaggio in ogni tempo che alla fine ci si rivolge sempre alle voci in sala di sincronizzazione, anche per quei capolavori che fanno la storia, attirando l’attenzione e l’ammirazione del cinema internazionale, nonché gli innumerevoli premi e riconoscimenti.
Nel mondo cinematografico l’elemento più debole è quello del doppiaggio, per tanto e facile e ingiusto scaricare su di esso buona parte dei malumori che da sempre abitano il panorama del cinema italiano tra autori, attori e produttori.
Sergio Leone affermava che il doppiaggio non doveva esistere anche perché all’estero non veniva usato affatto, cosa decisamente inesatta.
Sarebbe stato il caso di dire che buona parte dei paesi stranieri non ne fa uso.
Che ne è infatti dei film doppiati in giapponese, arabo e israeliano? Possiamo immaginare quanto mercato queste sole lingue vadano a coprire!
E il doppiaggio francese allora, che rifornisce Francia, Corsica e anche parte di spettatori belga, svizzeri e del Nord Ovest italiano?
Che dire poi del doppiaggio tedesco, il quale da solo copre almeno Germania, Svizzera, Austria, parte dei paesi slavi confinanti e il Nord Italia?
Vogliamo dimenticare il il doppiaggio in lingua spagnola, la quale è parlata più che lo stesso inglese?
La lista potrebbe continuare.
A suo tempo Antonioni condusse perfino un’inchiesta sulla rivista Cinema, con la quale sperava di screditare il doppiaggio attraverso la conferma del pubblico. I sondaggi però riportarono dalla quinta uscita dati che molto semplicemente davano la maggioranza dei voti degli spettatori a favore del doppiaggio.
Ad ogni modo le critiche furono figlie del loro tempo e a fine anni Sessanta il doppiaggio respirava aria di dileggio.
Nell’estate del Settanta la rivista Film Critica pubblicò diversi articoli che insultavano il settore, dichiarando che il cinema era un mezzo speculativo al cui gioco si prestava il doppiaggio, inneggiando ancora perfino al film muto e facendo riferimento al pulismo linguistico imposto ben quarant’anni prima da Mussolini.
Sempre secondo certa critica il doppiaggio era commercio consumo, una mossa politica, asincronismo e facilitazione per la censura, pigrizia e addirittura mancanza di coscienza.
Essa inneggiava per tanto alla presa diretta del film, dimenticando però quegli attori italiani che non sapevano recitare anche con la voce o quei registi che sceglievano attori stranieri; dimenticando di puntare il dito contro gli attori che accettavano tranquillamente di farsi doppiare e contro gli italiani che si disinteressavano delle lingue o di una lettura assidua.
Tale critica ignorò anche i dati dell’industria cinematografica italiana, la quale non risentiva della stagnazione economica, attestandosi piuttosto su una media di cinquecentomilioni di spettatori l’anno, più del doppio di quelli europei, per un fatturato annuo superiore ai duecento miliardi di Lire e una produzione filmica di circa duecentocinquanta pellicole, considerando quelle altrettanto numerose di importazione per coprire il fabbisogno nazionale.
Gli italiani continuarono a frequentare i cinema, rifiutandosi di andarci per i film con le didascalie al posto del doppiato.
Ricordiamo tra gli interventi autorevoli a favore del doppiaggio quello di Federico Fellini: “Nei miei film il rumore di passi non c’è mai. Tutti i rumori marginali, se non servono davvero al film e la cosa avviene solo eccezionalmente, vanno eliminati o si rischia di disturbare.
E’ lo spettatore che deve aggiungere se crede, anche per questo non potrei fare a meno del doppiaggio. Anche le voci che in genere restano a uno stadio neutro nella presa diretta, con il doppiaggio possono essere manipolate, esaltate, magari aggiungendo un vago accento esotico che conferisce autorevolezza o innocenza”.

(brano realizzato in collaborazione con il Prof. Gerardo Di Cola)

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