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Doppiaggio: come e perché

Doppiare è un lavoro facile?

Doppiare è un lavoro facile perché si usa solo una bella voce?

Per prima cosa sfatiamo il mito della così detta “bella voce”, perché non vuol dire nulla.

Nel doppiaggio ci sono anche voci, meno aggraziate, non calde e avvolgenti, ma che comunque servono. Non ricopriranno il ruolo del belloccio romantico, ma magari saranno perfette per personaggi buffi o comunque peculiari dei cartoni animati, ad esempio.

In questo lavoro occorrono tutti i tipi di voci. Ovviamente più si è trasformisti e più si lavorerà.

Il doppiatore non è quindi un imitatore, ma un attore che emula al meglio il suo personaggio originale. Se poi ha una voce anche da imitatore, ben venga. Potrebbe tornare utile in certe occasioni, ma non è la regola, non è una prerogativa del doppiaggio.

Il problema è dato dall’errata idea che i giovani hanno di cosa significhi essere attori, soprattutto attori/doppiatori.

Il doppiatore, ricordiamo, è e rimane comunque un attore vero e proprio, solo che specializzato nell’audio dei film. Non a caso molte volte è attore al contempo anche di cinema, TV e teatro (di solito dall’infanzia o dall’adolescenza), quindi la sala di incisione non è adatta a vallette della TV o pretesi talenti dei reality, né agli imitatori di strada. Esperienza e formazione sono d’obbligo e dello standard recitativo  richiesto da Hollywood.

Un doppiatore è attore due volte. Doppia attori che, diversamente da lui, godono del set del film e dell’interazione con i colleghi, recitando così in modo più spontaneo e stimolante.

Il doppiatore invece, solo in sala con microfono e leggio, sempre più spesso senza altri attori ad affiancarlo, deve riprodurre in italiano le stesse abilità e trasmettere emozioni fedeli quanto più possibile all’originale.

Il doppiatore, oltre a ciò, ha dei limiti in più, poiché postretto a seguire il modello straniero che deve emulare, mentre l’attore originale sullo schermo, se occorre, è libero di improvvisare o meglio adattare la parte a sé.

Per tanto il doppiatore lavora per due, interpretando sia l’attore che il suo personaggio.

Il doppiatore ha un’altra difficoltà ancora rispetto all’attore a cui da la voce, perché deve recitare seguendo in cuffia l’originale straniero (non solo voci, ma anche colonna sonora e effetti speciali), motivo di ulteriore deconcentrazione per il rendimento della versione  italiana.

Naturalmente bisogna doppiare senza strafare, mantenendo la giusta misura interpretativa, altrimenti si rischia il così detto scollamento, cioè un doppiaggio che non corrisponde a ciò che esprime il volto dell’attore in video.

Teniamo presente che un doppiaggio non può migliorare un film mal riuscito:

Se il film è fatto bene e doppiato male non incassa e se è fatto male e doppiato bene incassa comunque.

Quindi noi doppiatori siamo limitati in tal senso, ragion per cui abbiamo pochissimo potere contrattuale, anche perché di solito non si va al cinema per ascoltare i doppiatori, ma per vedere gli attori sullo schermo.

La cosa sta iniziando a cambiare effettivamente e sempre più utenti seguono più o meno un certo attore straniero in base alla voce del suo doppiatore italiano che ci si aspetta comprensibilmente rimanere lo stesso (dopotutto anche in originale l’attore cambia ruolo da film a film ma mantenendo evidentemente la propria solita voce, sfumature interpretative a parte), ma non è ancora un fenomeno particolarmente diffuso.

L’attore del film, a dirla tutta, recita il proprio ruolo nell’arco di diversi mesi, mentre il doppiatore ha a disposizione solo alcune ore, cosa che evidentemente gli rende ancora più onore.

Il lavoro in sala è a suo modo faticoso anche a livello fisico, non solo artistico: il doppiatore vive un’emotività piuttosto snervante cambiando per i suoi personaggi qualcosa come tre o quattro personalità al giorno, ciascun ruolo col suo modo di pensare e di esprimersi, oltre a dover scorrere per ore con lo sguardo testo del copione e labiale dell’attore in video, senza potersi minimamente muovere a causa dei microfoni professionali che colgono il minimo respiro e fruscio, tutto stando da solo in una sala insonorizzata e nella penombra.

La scienza ha dimostrato che la mente umana avverte come reali anche le situazioni in cui si finge e tratta in qualche misura psiche e sentimenti di quel frangente recitativo come se fossero veri (l’attore al microfono a volte piange realmente, si rabbuia davvero, si rallegra sul serio, diventa veramente teso, …), il che lascia meglio comprendere e apprezzare la fatica a tutto tondo di un buon attore professionista.

Non è da tutti restare in sé dopo essere stati per ore di fila i protagonisti di: un crimine, una storia d’amore, una trama demenziale, un tragico incidente, un’avventura immaginaria, ….

A fine giornata quindi, dopo nove/dodici ore in sala di registrazione a queste condizioni, mente e corpo del doppiatore in qualche misura portano il peso psicologico ed emotivo di pensieri e sentimenti non propri, ragion per cui spesso TV e cinema nel tempo libero non sono esattamente le sue principali distrazioni.

Durante il turno di lavoro il doppiatore quasi mai può godere di qualche minuto di pausa e perfino l’ora del pranzo si riduce spesso ad un panino veloce alla guida per correre al turno di un altro studio.

La pausa pranzo è solitamente tempestata di telefonate ed sms di studi che fissano o spostano dei turni di lavoro, sapendo che quello è in genere il momento per trovare il doppiatore più disponibile e non in sala col telefono rigorosamente spento.

Chi dice che il doppiaggio sia una vita facile?

Da considerare anche il fatto  che per i film cinema, specialmente nel caso di grandi titoli, noi doppiatori lavoriamo senza poter studiare visivamente per intero il nostro personaggio, né possiamo constatare chi siano i suoi interlocutori sul set, quindi dobbiamo affidarci al nostro intuito e alla nostra immaginazione.

Di solito la cosa è aggravata da immagini del film volutamente disturbate per via dei diritti d’autore e così consegnate allo studio di doppiaggio.

In queste condizioni abbiamo non poche difficoltà a mantenere la fedeltà all’opera originale e alla professionalità che ci distingue.

Nei film più importanti del nostro stesso attore possiamo vedere solo il volto, volontariamente oscurato ad intermittenza da bande e colori alterati, elementi per noi di evidente disturbo e distrazione.

Altre volte i committenti ci permettono di vedere perfino solo le labbra dell’attore.

In questi casi direttori e doppiatori sono costretti con frustrazione ad indovinare quanto avviene in una scena visivamente iperprotetta, intuendo l’interazione con cose e personaggi dalla sola colonna audio.

E’ successo, ad esempio, con la saga de “Il signore degli anelli”, che in un primo momento presentava tutte queste alterazioni, ragion per cui il direttore Francesco Vairano (anche voce di Smeagol) si pose il problema, lecita rimostranza che permise ai doppiatori italiani di avere chiaro almeno il volto dei personaggi, magra consolazione per dei film pregni di fantasia e realtà imprevedibili.

Per “Il cavaliere oscuro”, della saga di Batman, l’immagine era perfino completamente oscurata e intorno alle labbra del personaggio da doppiare si apriva un piccolo ovale quando parlava.

Anche per questo direttori e doppiatori a volte si rifanno più del normale ai romanzi dai quali i film sono tratti.

Sono tutte forzature che non dipendono dal doppiaggio italiano.

Figurarsi che i cartoni animati vengono disegnati sul labiale dell’attore che presta la voce al personaggio in originale. Per il doppiatore straniero quindi è un gioco da ragazzi, ma non per noi che elaboriamo un labiale su un cartone già costruito sulla lingua invece estera.

La voce originale perciò incide a ruota libera senza precise immagini dettagliate da seguire, quasi la facilità di uno sceneggiato radiofonico, mentre noi naturalmente no.

In questo caso noi doppiatori non possiamo nemmeno affidarci alla cuffia, strumento per noi importante.

La nostra vita non è solo premi e ammiratori, ma queste stesse cose si ottengono e poi mantengono ogni giorno con grande impegno e responsabilità.

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